by Claudio
Canto I
Nel mezzo del cammin di nostra vita,
mi ritrovai per una selva oscura.
E, se questa vi pare già sentita,
che meglio può dipinger la natura
di color ch’aman correre in salita!
Di quelli “ché il bitume è forzatura,
ché il fango è cosa molto più gradita
anche se l’avanzar arduo facea”.
Così, io, per fuggir a legge ordita
che intro lo mio loco mi tenea,
siccom’ era sì troppa già la pena,
mi volsi dalla Villa felsinea.
E mentre risalivo val di Zena
i’ vidi entro ‘l bosco grande fiera
ma leo non era, lonza e manco iena.
Seppur, con lonza qualche nesso c’era.
Quello che vidi, nella selva cupa
era cinghiale, giuro, storia vera!
Andommi a rifugiar sotto una rupa
Per scampar al setoso grufatore
e non m’accorsi che v’era una fossa.
Cadendo mi causai molto dolore,
e mentre controllavo tutte l’ossa
mi volsi intorno, e con gran stupore
vidi la cava fonda ed assai grossa
et intorno quell’antro, tra l’afrore
era una bolgia d’uomini, una mossa.
Ciascuno s’affanava, destra e manca
in cerca di calzari, cappe e staffe
da un lato, di denaro una palanca
da cui, menando, ognun facea arraffe.
Ma, tosto che s’andava a comperare
denaro ‘un c’era, grand’era la gaffe.
E la ragione di quest’ammancare
era lo foco d’una gran fenice
che tutto il conio facea consumare
a guisa de la peggior meretrice
e ciò che corridor avean patito
lo si può immaginar, ma non si dice,
poiché lo spazio, ahimé, è già finito.