di Giacomo Cavallini
Premessa
Fu un’idea folle quella di partecipare a scatola chiusa all’iper trail della Bora del 2017. Non sapevo cosa mi attendesse, l’attrezzatura necessaria, sapevo solo che i km erano tanti così come il dislivello. Esperienza condivisa con altri 3 matti trail runners anch’essi ignari del tipo di gara da affrontare e anch’ essi impreparati a quella che si è dimostrata una gara impossibile da concludere, terminata a neanche metà gara con un ritiro condiviso che mi ha lasciato un bell’amaro in bocca. Esperienza fallita ma anche un’esperienza che mi ha insegnato tanto e che mi ha consapevolizzato su ciò che avrei voluto fare : divenire finisher della successiva edizione dell’iper Trail della Bora.
Nel 2018 ho partecipato, in completa solitudine, alla sorella minore dell’iper Trail, ossia all’ultra trail, percorso completamente tracciato e ricco di ristori ben forniti. Indeciso fino alla fine se partire o meno per un infortunio ad un tendine alla caviglia, senza se e senza ma, mi sono ritrovato sulla linea dello start e andando ad un passo lento ma costante per tutti i 168 km con 7200 d+ sono arrivato al traguardo, soddisfatto, incredulo, ma letteralmente devastato fisicamente e mentalmente. Questa gara difficile, ma portata a termine con grande determinazione, mi hanno convinto sempre di più che, forse, la mia predisposizione all’endurance solitario, mi avrebbero fatto realizzare il mio sogno chiamato: IPERTRAIL DELLA BORA 2020.
04 gennaio 2020
Un anno di preparazione.
Un anno di pensieri molteplici.
Un anno per convincermi che avevo le caratteristiche necessarie per riuscire in questa grande impresa.
I preparativi per affrontare questa difficile gara di 180 km con 9000 d+ (distanza e dislivello incerti anche ora che ho terminato la gara) sono stati impegnativi e lunghi, ma indubbiamente dettati dall’esperienza fatta nel 2017.
Prima di tutto mi sono procurato l’attrezzatura necessaria per affrontare una gara del genere, ossia un cartografico elettronico idoneo, vestiario anti bora (nel qual caso), fornellino da campeggio e sono riuscito a brevettare e a costruire un porta GPS in alluminio posizionato nel porta borraccia in modo da avere sempre la traccia del percorso in bella vista, ma le mani libere per poter usare i bastoncini, cosa essenziale visti i 9000 m di dislivello positivo. La particolarità di questa insolita tipologia di gara è, appunto, che il percorso non è segnato e bisogna unicamente leggere il GPS per poter seguire il percorso anticipatamente caricato sul dispositivo (la traccia è stata comunicata ai partecipanti solamente una settimana prima). L’altra particolarità di questa gara è che i primi 120 km sono in completa autonomia alimentare, ossia non sono predisposti ristori, ma solo 4 basi vita, luoghi al chiuso dove potersi riparare, riscaldare, cambiarsi e rinfocillarsi di cibo portato da casa. Tutti i vestiti tecnici e la roba da mangiare erano contenuti in una cassa di legno, trasportata dall’organizzazione da base vita a base vita. Decidere anticipatamente la strategia alimentare la strategia alimentare della gara è stata una cosa molto difficile, perché le incognite, in una competizione del genere, sono davvero tante, troppe ed ogni cosa pensata e calcolata a volte non sono mai sufficienti. Ma col senno del poi mi ritengo molto soddisfatto, perché la mia esperienza nel mondo dell’endurance, mi ha portato a scegliere cibi che si sono dimostrati azzeccati. Avevo preparato del riso con patate facendo delle mono porzioni, del brodo vegetale a parte e ad ogni base vita univo il tutto scaldandolo sul fornello e via. Riso, patate e brodo caldo sono stati in vero toccasana per lo stomaco, per la fatica e per le tante energie spese e sempre necessarie. Anche la simmenthal l’ho trovata un’ottima scelta, appetitosa ed esaudiente. Dopo queste 4 basi vita, il percorso combaciava con quello dell’ultra trail e dovevo dire addio alla mia cassa e se da un lato ero facilitato per il cibo trovato ai ristori, dall’altro la scelta di decidere cosa portarmi dietro come vestiario (sapendo di dover affrontare il terzo avvento del buio in vista del traguardo) non è stata per niente facile. Ma direi che ho avuto buone intuizioni anche sotto questo punto.
Il percorso di questa edizione è stato un percorso inedito, con partenza da Gorizia ed arrivo a Visogliano, attraversando il Carso sloveno e quello italiano, con passaggi in trincee della Grande Guerra, crinali spazzati dalla bora, vertical spaccagambe e canyon.
La parte che mi è piaciuta di più, nonostante la grande stanchezza percepita ancora prima della partenza e con cui ho affrontato questa sfida, è stata l’ascesa e la permanenza per pochi km sul monte Nanos (1205 m s.l.m), la vetta più alta slovena, laddove la bora spira sempre.
La parte in cui ho sofferto di più è stato il vertikal di Caven, trovato dopo il 40 esimo km dopo la prima base vita di Lokev, dove in circa 4 km il dislivello è stato di 1200 d+. Parte sofferta in quanto un vero e proprio spacca gambe.
Questi 180 km sono stati molto vari, molte parti tecniche e molte parti corribili, ma una nota particolare va alle gole di Skocjanske, prima dell’ultima base vita, 4 km con 400 d+.
Non è stata la distanza o il dislivello a rendere questa parte di gara particolare, ma bensì il fatto che bisognava fare e sentirsi Indiana Jones: nel letto del fiume, di fianco a dove scorreva il Rio, ho dovuto attaccarmi a massi, arrampicarmi, aggrapparmi a rami e stare attento a non cadere acqua ed il tutto con il rombo dell’acqua corrente nelle orecchie.
Gli ultimi 24 km sono stati per me infernali, in quanto, se sulla carta I km mancanti erano pochi, nella realtá sono stati quelli dove ho dovuto correre costantemente, in quanto prima il passaggio sulle petraie, poi il passaggio sui massi della spiaggia, hanno limato il tempo in maniera pericolosa. Gli ultimi km sono stati un misto tra percorsi pianeggianti e ripidi pendii. E proprio durante questi ultimi, mentre vedevo inesorabilmente il tempo scorrere in un continuo susseguirsi di su e giù, sentivo lo spiker annunciare l’arrivo di altri corridori, ma io non ne vedevo la fine, ne tanto meno la luce del paese, fin quando, all’improvviso, svalicando per l’ennesima volta, mi sono ritrovato magicamente al traguardo.
Le sensazioni fisiche provate per questi 180 km sono state principalmente buone, anche se l’elemento dominante in questa gara è stata la stanchezza. Sono partito stanco e ho subito varie “crisi di sonno” che mi hanno fatto perdere tempo, soprattutto quella che mi ha colto durante la salita al monte Nanos. Ma a parte questo, fisicamente sono stato sempre molto bene, non accusando problemi particolari, se non un lieve dolore al piede sinistro nella parte finale. A differenza di altre mie gare lunghe, in questa competizione sono sempre stato molto lucido e questo mi ha permesso di gestire al meglio la gara dall’inizio alla fine (allucinazioni e voci immaginarie fanno parte del gioco). Una particolaritá di questa bora 2020 è stata che nei tratti corribili dovevi correre per forza, perché i cancelli erano calibrati su questo e per fortuna le gambe hanno sempre girato molto bene. Arrivare 28esimo su 80 è stata una grande soddisfazione.
Questa esperienza ha acquisito valore grazie ad una bellissima iniziativa. Verso fine estate del 2019 ho ricevuto una mail dell’organizzazione dove mi veniva chiesta la disponibilità di partecipare ad un progetto innovativo per questa tipologia di gara, ossia essere accompagnato alla partenza, all’arrivo e alle base vita da persone diversamente abili. Accettai immediatamente e a pochi giorni dalla partenza scoprii con grande gioia di essere uno dei 5 fortunati ad essere stati scelti per questo progetto inedito. Dopo qualche contatto con un tramite dell’organizzazione e associazione sportxall ci siamo accordati per incontrarci a Gorizia poco prima della partenza.
Così ho avuto la possibilitá e la fortuna di conoscere Luca ed i suoi compagni di avventura.
Con Luca ho percorso i primi 2 km di gara. Trovare Luca e company ad ogni base vita è stata una grande emozione e sorpresa e anche loro hanno dimostrato grande resistenza ad aspettarmi per così tanto tempo. Mi accoglievano sempre con una grande festa e la cosa che mi è rimasta più impressa è stato il modo e la disinvoltura con cui scherzavano con me sulla loro disabilitá. È stata devvero un’occasione che non scorderò mai.
Sicuramente questo viaggio ha lasciato in me la consapevolezza di non essere giunto ad un traguardo definitivo ma ha accresciuto ancora di più la voglia di scoprire, di imparare, di esplorare e di vivere queste infinite emozioni. Emozioni che mi hanno accompagnato, passo dopo passo, nella realizzazione di questo grande sogno trasformato in realtá. Le emozioni e gli stati d’animo hanno fatto da padrone per tutti quei 180 km, altalenandosi di continuo: gioia, dolore, adrenalina, sonno, lunghi silenzi, felicità, incredulitá e consapevolezza. Forse sono state proprio loro a rendere questo viaggio incredibilmente fantastico.
Un ringraziamento speciale va a chi mi ha sostenuto, spronato, incoraggiato, accompagnato, supportato e sopportato, a dei fantastici compagni di squadra e a tutte le persone che credono in me.
Cara Bora…. Ci vediamo l’anno prossimo!
Giacomo Cavallini